Destinazione d’uso del fabbricato: se è differente da quella indicata in contratto e non è modificabile, allora si può ottenere la risoluzione del contratto
La destinazione d’uso è indicata dal titolo abilitativo, che assume una connotazione oggettiva valevole ad individuare in modo inconfutabile ed evidente i termini di utilizzazione di un determinato bene

A fronte di una compravendita immobiliare, qualora l’alienante abbia garantito una destinazione d’uso differente da quella indicata in contratto e che in realtà non è modificabile, se non a condizioni particolarmente gravose, si configura un inadempimento qualificato che può dar luogo alla risoluzione del contratto per aliud pro alio datum. In tale ipotesi, non trovano applicazione i termini di decadenza e prescrizione previsti dal Codice Civile, bensì l’ordinario termine di prescrizione decennale. Inoltre, la risoluzione del contratto, pur comportando l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo o meno la restituzione della prestazione rimasta senza causa. Questi i chiarimenti forniti dai giudici (ordinanza numero 31127 del 4 dicembre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo al complicato trasferimento della proprietà di un immobile, trasferimento caratterizzato dalla scoperta, successivamente all’acquisto, che l’immobile aveva destinazione d’uso ufficio, anziché quella abitativa dichiarata nel contratto, e che il cambiamento di destinazione non era possibile, sia per carenza dei parametri illuminotecnici imposti dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, sia per mancanza di un garage o ‘posto auto’, quale necessaria pertinenza richiesta dalla normativa statale e regionale affinché il bene potesse essere qualificato come abitazione. Per meglio inquadrare la questione, i giudici precisano che sebbene sul piano tecnico i concetti di destinazione d’uso e di agibilità siano differenti, nondimeno il rilascio dell’agibilità postula che sia rispettata la destinazione d’uso impressa al bene, appunto perché l’agibilità è funzionalizzata alla destinazione d’uso. Più in particolare, la destinazione d’uso è indicata dal titolo abilitativo, che assume una connotazione oggettiva valevole ad individuare in modo inconfutabile ed evidente i termini di utilizzazione di un determinato bene, e, in via sussidiaria, può essere ricavata dalle categorie catastali, che rilevano, ai fini dell’Individuazione della destinazione delle unità immobiliari ivi censite, solo in difetto di indicazione nei titoli abilitativi. Per contro, l’agibilità (oggi sostituita dalla segnalazione certificata di agibilità) consiste nell’indagine che l’amministrazione è chiamata a svolgere per il rilascio dell’autorizzazione, mediante accertamento della conformità della costruzione al progetto approvato e della mancanza di cause di insalubrità, limitate alla costruzione edilizia in sé considerata, ossia della sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti in essi installati. Con la conseguenza che l’accertamento di tale conformità della costruzione effettivamente realizzata al progetto assentito deve essere compiuta non solo rispetto ai profili strutturali estrinseci (sagoma, volumetria), ma anche in relazione alla destinazione d’uso dell’immobile, appurando quindi che l’immobile realizzato sia coerente e conforme con la destinazione assegnata all’area dallo strumento di pianificazione urbanistica comunale. Pertanto, il conseguimento della certificazione di agibilità è precluso ove la destinazione d’uso in concreto e di fatto attribuita non sia corrispondente alla destinazione assentita e stabilita nei titoli edilizi, secondo le norme urbanistico-edilizie vigenti all’epoca della costruzione, senza che abbia una rilevanza decisiva l’inquadramento catastale, le cui risultanze hanno effetti a fini meramente fiscali o al più possono assumere valore meramente indiziario a fini diversi. Perciò, allorché la destinazione d’uso effettiva non sia mutabile nella destinazione d’uso garantita, o sia mutabile a condizioni alquanto gravose, si realizza un inadempimento qualificato, che può dar luogo alla risoluzione del contratto, siccome conseguente alla vendita di aliud pro alio datum. Tale insanabilità è stata accertata nella vicenda in esame, poiché la mancanza dei requisiti richiesti per il rilascio della licenza di abitabilità nella vendita di un immobile, che avrebbe dovuto essere destinato ad abitazione, comportava il difetto di un elemento connotante il bene. E in questa ottica va valorizzato il fatto che l’acquirente, per conseguire il mutamento di destinazione d’uso ed il rilascio del certificato di agibilità dell’immobile da destinare ad uso abitativo, avrebbe dovuto dotare l’appartamento di un garage di cui era attualmente sprovvisto e per il cui acquisto avrebbe dovuto sostenere un esborso affatto esiguo, inadempimento reputato di gravità tale da legittimare la domanda di risoluzione, alla luce della prevedibile rilevanza del costo necessario per dotare l’unità immobiliare di un garage. E ciò considerando altresì l’ulteriore spesa richiesta per adeguare l’immobile, la cui edificazione risale a circa trenta anni prima, ai parametri illuminotecnici imposti dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune. Difatti, l’appartamento difettava dei requisiti di ampiezza relativi alle finestre di ciascun locale adibito ad abitazione, per assicurare che i locali fruissero di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso, né la concreta adibizione del bene ad uso abitativo può escludere la spettanza del diritto alla risoluzione, restando comunque ferma l’inidoneità del bene a quell’uso.