Illegittimo l’operato del Fisco se fondato esclusivamente su informazioni anonime
L’accertamento si fondava, nel caso specifico, sul rinvenimento, all’interno di un’abitazione privata, di un brogliaccio su cui era annotata una contabilità parallela, in nero
Stop all’accertamento fiscale se fondato esclusivamente su informazioni anonime. Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza del 22 novembre 2024 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo), chiamati a prendere in esame le obiezioni sollevate dal titolare di una ditta individuale (la cui l’attività è costituita dall’organizzazione e dalla realizzazione di banchetti nuziali) a fronte di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate gli aveva chiesto il pagamento di maggiori imposte (IRPEF, IRAP ed IVA, per complessivi 207mila euro), per essere stata occultata, nel 2007, la maggior parte dei ricavi effettivi (oltre 527mila euro, a fronte di quelli dichiarati, pari a neanche 190mila euro). Nello specifico, l’accertamento si fondava sul rinvenimento, all’interno di un’abitazione privata, di un brogliaccio su cui era annotata una contabilità parallela, in nero, da cui emergeva il numero effettivo dei banchetti organizzati nel 2007, ma, secondo i giudici, quel brogliaccio è del tutto inutilizzabile, e, quindi, l’avviso è privo di fondamento, poiché le deduzioni del Fisco non hanno individuato alcuna prova ulteriore dell’esistenza e dell’ammontare di ricavi non dichiarati da titolare della ditta individuale. Anzi, il Fisco ha persino omesso d’indicare, osservano i giudici, quali sarebbero le gravi criticità connesse alla tipologia di attività svolta dalla ditta, esercente attività di ristorazione per cerimonie e banchetti, che, una volta risultato inutilizzabile il brogliaccio, varrebbero a fornire la prova dei ricavi omessi. Per maggiore chiarezza, poi i giudici richiamano il principio secondo cui il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi – ha il potere-dovere, oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o per relationem – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria. Sicché, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove.